lunedì

Aquila ancora Aquila. Lo smantellamento delle tendopoli

fonte: http://www.dongiorgio.it/scelta.php?id=895




Sono momenti molto difficili nell’aquilano. Mi va di raccontarvi qualcosina. Mi perdonerete per la lunghezza e la confusione ma questo velo che impedisce le comunicazioni al di fuori del cratere va abbattuto. In ogni modo.
Oggi vi racconto dello smantellamento delle tendopoli. ci sono molte ma molte altre cose da dire. ma visto che scrivendo mi sono resa conto di aver riempito 2 pagine vi mando la prima parte. ogni commento puo’ fare bene.

Il primo problema è il freddo. Tanto temuto è già arrivato prima che ce ne potessimo rendere conto.

Le tendopoli, quelle che abbiamo imparato a riconoscere come quartieri della nuova città si stanno smantellando.

Le modalità con cui questo avviene sono incredibili. Le associazioni che si occupano di difesa dei diritti umano troverebbero molto lavoro se si accorgessero di questo lenzuolo di terra così vicino alla capitale eppure così lontano dagli occhi e dall’attenzione del paese.

Storia esemplare e non unica è quanto avvenuto a Piazza d’Armi. La tendopoli più grande che raccoglie aquilani, quella resa un set televisivo nei primi mesi post terremoto con centinaia di telecamere fissate ostinatamente sulla difficile sopravvivenza dei residenti nelle tende, quella, a detta degli operatori, più complessa per la presenza oltre che di tanti migranti, di disabili e tossicodipendenti, quella più militarizzata, dove entrare era un’impresa impossibile, dove ci hanno proibito di entrare anche per una giornata di sport per non parlare delle numerose richieste di tenere assemblee all’interno o anche semplici volantinaggi, tutte sistematiche negate.
Era un giovedì mattina quando sono iniziate a circolare voci sull’imminente smantellamento del campo. Sembrava uno dei tanti “dice che” che circolano all’improvviso, generati da chissà chi e chissà perché. Poi iniziarono le conferme. Le prime telefonate sono arrivate dagli psicologi che operavano nel campo che denunciavano la richiesta fatta alle loro cooperative da parte della Protezione Civile Nazionale di accompagnare le squadre che dovevano comunicare ai residenti dello smantellamento e del loro futuro. Gli psicologi (quasi tutti) si rifiutano. Placare la rabbia non può e non deve essere un loro compito.

Nel pomeriggio si palesano le squadre. Sono composte da un operatore della Protezione Civile Nazionale, due carabinieri o due della guardia di finanza, in alcuni casi li accompagna uno psicologo. Entrano nelle tende e danno vita ad un breve colloquio con il nucleo famigliare al termine del quale, decidono, chissà in base a quali criteri, la destinazione provvisoria delle persone. Provvisoria perché in attesa dell’assegnazione di case o della ristrutturazione della propria abitazione. Il tutto deve avvenire in 24 ore. A lungo ci siamo interrogati sui motivi di questi tempi. La risposta però l’ho ascoltata proprio da un “volontario” della pcn. “non possiamo dar loro tempo di organizzarsi”. Perché? Per non permettere qualche protesta?

Alcune destinazioni sono accolte favorevolmente dai residenti. La più ambita è la caserma della guardia di finanza, ovvero la sede del G8, ovvero la sede della Direzione Comando e Controllo (Dicomac) organo decisionale della gestione del territorio post sisma, ovvero la sede della Protezione Civile a L’Aquila. Sono tutti i migranti di piazza d’armi ad entrare per primi. Eravamo lì ad osservarli mentre velocemente impacchettavano tutto, caricavano automobili e si avviavano verso Coppito. Tutto accadeva in un silenzio irreale. Sembrava di essere tornati indietro di cinque mesi a quel sette aprile, quando nessuno parlava e smarrimento e paura riempivano l’aria al posto dei suoni. Abbiamo provato a fare qualche domanda a cittadini peruviani o filippini impegnati a riempire le macchine. Nessuna risposta, scappavano via, tenendo la testa bassa.

La caserma ha molti blocchi di edifici destinati ad abitazioni recentemente ristrutturati per ospitare il G8. Non hanno la cucina e quindi si continuerà a mangiare in mensa ma insomma….è una soluzione più che dignitosa sopratutto se paragonata a cinque mesi di permanenza nelle tende.

E ai controlli ci siamo abituati. La gestione delle tendopoli non è stata poi così diversa da quella di una caserma.

Poi sono arrivate le requisizioni degli alberghi della città. Con accordi ancora non troppo chiari con la Protezione Civile si sono requisite il 75% delle stanze di tutti gli alberghi agibili della città, pochi, ma comunque sufficienti per il fabbisogno almeno di questa prima tendopoli.

Piccolo inciso: ma se era possibile fare così, perché queste soluzioni non sono state adottate prima?

Per gli altri le destinazioni sono fuori città, ad Avezzano, Sulmona, Tagliacozzo fra le altre. E qui sono iniziati i problemi e le proteste. Chi quel 6 di aprile ha scelto di restare in tenda ha compiuto una scelta coraggiosa ed incontestabile. Quella di rimanere accanto al destino della loro città. Qualcuno c’è rimasto perchè ci lavora, qualcuno perché c’ha gli animali o un pezzo di terra, qualcuno perché non si è mai allontanato e magari nemmeno se lo immagina com’è che è vivere lontano, qualcuno perché sta terra la ama e se rimane, forse, qualcosa la può anche fare. Andare fuori città ora? Dopo quasi sei mesi in tenda?

Piano piano si inizia a capire come hanno effettuato queste scelte e diviene evidente che il criterio è la produttività. Ovvero, chi ha un lavoro rimane, gli altri, gli sfigati, devono andare via, il tutto entro 24 ore.

Abbiamo seguito storie strazianti ed assurde, come quella della signora Pasqua, 76 anni, sola, mandata ad Avezzano o quella di Luigi ex tossicodipendente in cura presso il sert mandato a Tagliacozzo, anche lui, solo.

Per chi si opponeva alla deportazione la strategia usata non è stata quella della forza, ma una più subdola, più criminale.

Improvvisamente chi per cinque mesi è stato il tuo eroe, colui che ti aiutato e fornito tutto quello di cui avevi bisogno ora cambia faccia. Diventa insofferente ed assente. Le prime cose a sparire sono i bagni chimici, poi le tende che parano il sole. E mentre la polvere si alza per l’esercito che smantella le tende accanto a te sparisce la mensa, il container per i giovani, la tenda servizi, la farmacia ecc..

Rimani te, ostinatamente, da solo.

Nessuno, NESSUNO, è lì anche semplicemente a darti informazione. Aumentano a vista d’occhio le forze dell’ordine per timore di chissà che.

Non c’è il comune, non ci sono associazioni di volontario o per i diritti umani, non ci sono giornalisti, non ci sono osservatori.

Ai pochi giornalisti che tentano di entrare l’accesso viene negato e quando ci presentiamo in massa con degli avvocati fanno entrare solo uno, con il tesserino, scortato però dai carabinieri, ottimo metodo per tranquillizzare le persone e farle parlare.

Ora le televisioni dicono che le tendopoli e sopratutto quella di Piazza d’Armi non esistono più. Non è vero. A Piazza d’Armi resistono 38 irriducibili. Senza assistenza, senza cucina, con un solo bagno che fa schifo perché non viene pulito, nel bel mezzo di una discarica che è quello che rimane del campo. All’entrata una decina di carabinieri, non si capisce bene a fare che. Dove sono quelle schiere di volontari venuti in Abruzzo per darci una mano in buona fede? Dov’è la città? Dov’è la comunità? Gli abbiamo dimenticati?

Quello che è successo a Piazza d’Armi si sta ripetendo nelle restanti tendopoli nonostante l’incredulità dei residenti convinti che “tanto a loro non tocca” o che “ci hanno detto che questo campo è l’ultimo.

Pina, una nostra amica, una compagna, è residente al campo di Italtel 1. La scorsa settimana le hanno comunicato la sua nuova destinazione: Castellafiume, nella Marsica a 70 km dall’Aquila. Lei lavora all’Aquila, non ha la patente e due genitori anziani a carico.

Quando l’ha saputo ha deciso di andare ad occupare la sua casa E (con seri danni strutturali) nel quartiere di Santa Barbara. È entrata, ha chiamato noi, i giornalisti e i vigili del fuoco. La polizia è arrivata in un numero spropositato. Hanno bloccato addirittura la strada per ore – importante arteria di collegamento – di fatto bloccando la città. Erano impreparati ad una reazione di un’aquilana. Evidentemente non se lo aspettavano.

Ha esposto uno striscione dal suo balcone: L’Aquila – Castellafiume 70 km di vergogna.

Chiedeva un incontro con qualcuno della Protezione Civile Nazionale. Non si è mai presentato nessuno.

Pina è uscita di casa dopo 8 ore. Le hanno assicurato la revisione della destinazione, garante un politico locale.

Con le buone maniere qualcosa si ottiene.

Sara Vegni

1 commento:

Anonimo ha detto...

In questo paese abbiamo sicuramente un giornalismo di regime completamente asservito ai poteri forti, La domanda mi nasce spontanea, anche il popolo, in questo caso acquilano, è asservito al regime, oppure siamo noi che vediamo sempre marcio dappertutto? Non mi sembra di sentire la protesta degli aquilani, ma solo la protesta dei soliti quattro lamentosi, di quelli che non gli va mai bene niente......